Fimelato 4 you

La letteratura milanese e la moda degli anni ’50 e degli anni ‘60

Una breve passeggiata tra Bianciardi, Dino Buzzati, Lalla Romano, Giovanni Testori, Carlo Emilio Gadda, Giorgio Scierbanenco e le prime sartorie.

Oggi racconto Milano, la città dai mille volti, la “capitale morale”, reduce dalla seconda guerra mondiale dalla quale uscì quasi completamente distrutta.

Fortunatamente, grazie all’impegno dei suoi cittadini riuscì a risollevarsi completamente da quel terribile conflitto.

Grazie anche all’operosità della sua gente venne, già allora, chiamata la “città che non dorme mai”!

Alla fine degli anni ’50 incominciano a sentirsi gli effetti della industrializzazione della città

Non solo i milanesi operosi ma anche un flusso migratorio proveniente dal Sud Italia contribuisce ad arricchire culturalmente la metropoli, grazie anche all’accoglienza che Milano riserva ai cittadini provenienti dal Sud.

Economia e cultura si intrecciano; la città diventa un punto di riferimento per i suoi noti scrittori, i quali descrivono un quadro che va dalla Milano dell’alta borghesia alla Milano dei quartieri operai.

Questo intreccio favorisce anche la nascita di un interesse nuovo per la moda.

Nascono infatti le prime sartorie milanesi, collegate alle prime sfilate di moda del 1958, con la nascita della prima Fashion week.

Nello stesso anno vediamo a Milano la nascita della prima Camera della moda italiana.

Quello che ci interessa notare è l’inizio della creazione, a tutti gli effetti, di un centro europeo innovativo assimilabile alle grandi capitali come Parigi e Londra.

Ciò nonostante, questo Milano mantiene una sua identità culturale che riflette le molteplici anime anche in campo letterario.

Pensiamo al toscano Luciano Bianciardi: “La vita agra” (1962), il Suo romanzo che ha avuto più successo, scritto come una autobiografia, parla delle difficoltà inziali di chi emigra a Milano. 
Il protagonista lascia la provincia e con essa la moglie e il figlioletto per andare a vivere a Milano con l'intento iniziale di vendicare i minatori morti in un incidente causato dalla scarsa sicurezza sul lavoro. È ovvio il riferimento all'incidente nella miniera di Ribolla del 1954, in cui persero la vita 43 minatori.
Il romanzo “La vita agra”, riflette le contraddizioni sociali della città e le conseguenze del boom economico italiano sulla società e sui rapporti interpersonali.
Al romanzo è ispirato il bellissimo film omonimo del 1964 “La vita agra” di Carlo Lizzani, con Ugo Tognazzi  che interpreta il Bianciardi/protagonista.

 

Luciano Bianciardi è un autore se vogliamo maledetto, che vive nelle case fatiscenti di ringhiera (allora non di moda) e nei bar fumosi. Ma si muove anche nella Milano elegante di Brera.

Proprio Brera è al centro dello sguardo letterario di Lalla Romano, la grande pittrice e scrittrice, una delle figure più significative del 900 italiano.
Sofisticata e colta, la ricordiamo per il Suo sguardo acuto sulla città meneghina e, soprattutto, per il suo amore per il quartiere Brera.
Lalla Romano nasce e cresce in Piemonte, ma, nel dopoguerra, raggiunge a Milano il marito. Qui riprende a insegnare, inizia a scrivere opere di narrativa e, nel 1951, pubblica “Le metamorfosi”, una serie di brevi testi in prosa dedicati alla descrizione di sogni. Nel 1953 e nel 1957 pubblica i suoi due primi romanzi. Il primo, Maria, storia di un complicato rapporto serva-padrona, ottiene un notevole successo di critica. Nel secondo “Tetto murato”, la protagonista è Ada, una donna di forte moralità. Nel 1953 pubblica anche una raccolta di poesie “L'autunno”.
Romano, donna dal carattere chiuso e introverso, conduce un'esistenza schiva e molto appartata, con scarsi contatti con il mondo intellettuale e letterario; la sua narrativa, spesso autobiografica, descrive rapporti familiari non privi d'asprezze, reticenze e mezze verità tipiche della buona borghesia settentrionale.
L'opera che rivela la scrittrice al grande pubblico è il romanzo “Le parole tra noi leggere” che ottiene il Premio Strega nel 1969, il cui titolo è tratto da un verso di Montale. In esso Romano descrive e analizza il rapporto con suo figlio, ragazzo difficile e ribelle, asociale e anticonformista. Il libro riscuote un notevole successo, forse anche perché tratta i temi propri della rivolta giovanile, particolarmente sentiti in quel periodo.

 

Abbiamo poi la Milano del Giambellino del grande Giovanni Testori, Autore di libri incentrati anche sulle periferie operaie milanesi (il suo romanzo “Nebbia al Giambellino”, scritto nel 1960, è stato pubblicato postumo nel 1995).

Segue la Milano di Carlo Emilio Gadda, il quale dipinge con ironia l’alta borghesia milanese (il romanzo “Accoppiamenti giudiziosi” del 1963 è stato recentemente ripubblicato da Adelphi). Nel prendere in giro la borghesia lascia emergere gli aspetti della loro stessa moda.

Abbiamo il mescolarsi di vari generi letterari, come il giallo noir del grande Giorgio Scierbanenco, autore del famosissimo libro “Milano calibro 9” (1969), dal quale viene tratto anche il film “Milano calibro 9”  del 1972, scritto e diretto da Fernando Di Leo.
Il film è il primo capitolo della cosiddetta trilogia del milieu del regista. Il titolo della pellicola è quello di un'antologia di racconti di Giorgio Scerbanenco: l'idea del pacco bomba e dello scambio dei pacchi è tratta da Stazione centrale. Il film è interpretato da Gastone Moschin e Barbara Bouchet.

Il culmine della connessione tra Milano, letteratura e moda, è totalmente rappresentato in Dino Buzzati, grande scrittore milanese e giornalista, che svolse il suo quarantennale al Corriere della Sera
È molto importante notare che uno scrittore molto impegnato come Buzzati autore mirabile del “Deserto dei tartari” avesse una particolare sensibilità verso il modo di vestire sia maschile sia femminile.
Buzzati, molto rigoroso ed elegante nel vestire, aveva uno spiccato senso della bellezza e della moda, nonostante varie tragedie sociali presenti nella città meneghina. 
Riordiamo che fu inviato speciale per il Corriere alle sfilate di alta moda già nel gennaio del 1962 a Parigi e nel 1963 a Palazzo Pitti.
Sfilò già allora una sua classifica personale di stilisti. 

La Milano impegnata culturalmente e con problemi sociali relativi alla industrializzazione e alla nascita di grosse periferie operaie non smette di trasformarsi e innovarsi. La Milano moralista, Capitale morale, apre alla moda!
Quindi vediamo che, a tutti gli effetti, offre già dagli anni ‘60 in poi, il binomio tra cultura impegnata e l’estetica, la bellezza configurata dalla moda.
La città riesce a garantire un equilibrio tra problemi materiali e la ricerca “del superfluo”, attraverso la nascita di saloni di moda e le botteghe sartoriali di alto livello.

Il pioniere Emilio Pucci lancia la sua prima collezione anche a Milano oltre a Firenze, sua terra artistica.
Elio Fiorucci, pioniere eclettico della moda milanese, inizia a farsi strada e nel 1967 apre il suo primo negozio in Galleria Passarella. 
Questo suo spazio trasgressivo e luminoso fu amato anche dal grande Andy Wharol.

Anche il mitico Ottavio Missoni apre i primi negozi in zona Milano. 
Nel 1966 Missoni lancia la sua prima sfilata al Teatro Gerolamo di Milano ed è un grande successo.

La grande visionaria della moda Anna Piaggi, nata a Milano nel ’31, diviene redattrice di Vogue Italia. È ispirato a lei il film documentario “Anna Piaggi: A dreamer in the fashion world”, realizzato da Alina Marazzi, che racconta la vita di una delle voci più influenti dell'industria della moda, musa di Karl Lagerfeld e inventrice del vintage ante litteram.

Mila Schon, stilista, trasferitasi dalla Dalmazia a Milano nel dopoguerra, fonda nel ‘58 il suo primo atelier.
Sette anni più tardi lancia la sua prima collezione femminile nella celebre collezione di Pitti. Mila Schon vestì anche Jacqueline Kennedy.

Si amplia tutto questo con la diffusione di riviste di moda lanciate in Italia da editori come Rusconi e Mondadori 
Parallelamente la grande editoria milanese si espande ad un pubblico più vasto 

Un punto di riferimento di coesistenza di queste diverse anime fa sì che Milano rimanga nel tempo un punto di riferimento per tutto il paese per quanto riguarda sia ogni ripresa economica, sia la rinascita culturale del nostro paese. Quindi un faro per tutte le altre città italiane
Una città che si sa trasformare attraverso i tempi, mantenendo una sua identità culturale, nonostante l’inizio di un principio di internazionalizzazione.


La Milano che finisce nel vortice dell’eroina, descritta mirabilmente, da Emilio Tadini. 
Passiamo alla Milano degli anni ’80 dove prevale un discorso diverso in cui vi è una trasformazione basilare: l’estetica e la bellezza hanno il sopravvento rispetto a una visione esistenzialista degli anni precedenti.
Una trasformazione dettata dai tempi che si concretizza con la nascita dei grandi stilisti.
Armani, Miuccia Prada, Emilio Fiorucci, Missoni, Valentino, diventano protagonisti della cultura milanese.

Queste trasformazioni hanno un impatto di internazionalizzazione della città e diventano a tutti gli effetti una rivoluzione unica del panorama culturale italiano
Diciamo che a Milano vi è una continuità seppur diversa nei vari modi di fare cultura 

Abbiamo anche il siciliano Elio Vittorini in una Milano distrutta dai bombardamenti degli anni ’40 inizialmente una città inospitale oltre che una città impegnata culturalmente e definita capitale morale, la sua trasformazione anche in capitale economica.

 

Condividi