Fimelato 4 you

Sinner vs Alcaraz: l’evidenza di essere umani

Non che mancasse il gioco. Ma c’era altro.
C’era la sensazione, palpabile, che quello in campo fosse un confronto più raro, più profondo.
Non tra due atleti. Ma tra due persone, che in quel momento si riconoscevano nel limite reciproco.

Nel corpo che chiede tregua.
Nella mente che vacilla.
Nel fatto che nessuno dei due stava cercando di annientare l’altro. Solo di restare in piedi, di attraversare.

E chi osservava da fuori ha potuto cogliere qualcosa che non si insegna.
Un confronto che non era più scontro, ma specchio.

Quando competere non significa indurirsi

Viviamo in un tempo in cui forza e vulnerabilità sembrano opposti.
Dove lucidità è spesso confusa con distacco.
Dove “funzionare” è diventato più importante che “sentire”.

Eppure, quel giorno sul Philippe Chatrier, è accaduto qualcosa di diverso.

Un momento in cui la presenza ha superato la performance.
Dove la tensione non ha diviso, ma tenuto insieme.

Non servivano parole.
Solo due esseri umani che, sotto pressione, non smettevano di vedersi.

E se fosse questo il vero terreno della leadership?

Cosa succederebbe se questo tipo di umanità si vedesse anche altrove?
Nelle aziende, nei team, nelle stanze delle decisioni.
Tra chi è chiamato a guidare, ogni giorno, con lucidità e coraggio.

Cosa accadrebbe se si accettasse che la vulnerabilità non è un limite da nascondere,
ma un fondamento per generare rispetto autentico?

Alcaraz ha vinto. Sinner ha perso. Ma forse non è questo il punto.

Perché nessuno dei due ne è uscito illeso.
Né integro. Né uguale a prima.

Hanno attraversato qualcosa.
E si è visto.
Nel modo in cui si sono salutati – senza trionfalismi, senza gesti teatrali –
ma con una forma muta e profonda di riconoscimento reciproco.

Erano cambiati.
Avevano visto nell’altro un pezzo di sé.

“Essere gentili non è un modo di addolcire la realtà.”

È un modo di restarci dentro, anche quando sarebbe più facile tirarsi fuori."

Nel Club Uomini Gentili, ci chiediamo spesso che tipo di presenza sia necessaria, oggi,
nel lavoro, nella leadership, nella vita.
Forse è proprio quella vista in campo:
una presenza che non rinuncia alla lucidità, ma nemmeno alla cura.
Che regge la pressione, senza smettere di sentire.

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