Fimelato 4 you

Intervista a Giorgio Santambrogio, CEO Gruppo Vegè e Consiglio Direttivo di Fondazione Fimelato ETS

  1. Fondazione Fimelato ETS è nata con l’ambizione di generare un impatto concreto sulla società tramite la gentilezza. Quali sono i principali obiettivi che vi ponete per questo primo anno di attività? 

C’è stato un percorso evolutivo a partire dal Club Uomini Gentili, un centro di cultura per proporre all’interno del mondo business il concetto di gentilezza ed eleganza per orientare azioni positive. L’idea di base è sempre stata portare in ogni contesto professionale un atteggiamento e un comportamento gentile, cortese, propositivo; a un certo punto, dall’idea di Alessandra Ottaviani, abbiamo sentito l’esigenza di far evolvere il club in qualcosa di più strutturato. 

Gli obiettivi per questo primo anno di attività coinvolgono quindi anche il Club, che resta uno dei pilastri della Fondazione, con la sua ampia community. Vogliamo andare ad allargare quel circolo “chiuso” per aprirci all’esterno, effettuando attività benefiche e raccogliendo risorse al fine di entrare in progetti etici e reali. 

  1. Lei ha un’esperienza di lunga data nel mondo dell’impresa. Negli ultimi anni, ha notato un cambiamento nel modo di fare leadership? 

La sensazione è che, come in molti ambiti, anche nel campo della leadership aziendale ci sia in atto una polarizzazione del pensiero.

Purtroppo, non c’è ancora una vera diffusione della leadership gentile.

Subito dopo il Covid c’è stato un fiorire di leadership imprenditoriali improntate sulla gentilezza, con una forte espansione di questa corrente di pensiero. In tempi recenti, però, probabilmente influenzati da modelli politici internazionali, sta tornando in ambiti aziendali e istituzionali una leadership della protervia, un modo quasi “autocratico” di fare impresa. 

Una leadership di questo tipo a mio avviso è miope: le decisioni basate sulla mera imposizione non danno mai buoni frutti, generano solo opposizioni e nessuna crescita.

  1. Si parla ancora molto di competitività e performance, ma meno di valori come la gentilezza. Crede che possa diventare un valore strategico per le aziende? E come si può incentivare una cultura organizzativa basata su rispetto e collaborazione?

In primis, voglio sottolineare che gentile non significa debole, anzi, la gentilezza è rivoluzionaria perché è forte, l’empatia e la motivazione che genera sono forti. 

Allargo il concetto della gentilezza a una prospettiva che può sembrare naïf ma è decisiva: fare bene, fare cose buone, è giusto e positivo, e genera anche una “contropartita”.

Nell’ambito del retail, ad esempio, se riesco ad essere al contempo competitivo e avere buone performance con prodotti e servizi di qualità, allora la sfida verso i miei concorrenti per la fedeltà e l’empatia dei consumatori avverrà su temi valoriali.

Oggi, i clienti più giovani scelgono le insegne della GDO, ad esempio, in base alla verifica attiva e reale che il brand stia attuando politiche di responsabilità sociale oppure no. L’utente sceglie in base a parametri di affinità e di valori: le logiche ESG oggi sono un obbligo anche perché i consumatori sono sempre più consapevoli.

Essere un’azienda gentile verso il Pianeta, la propria comunità, i propri dipendenti, diventa un punto di forza. La gentilezza diventa una variabile competitiva per avere i clienti nei propri punti vendita rispetto a far sì che scelgano i competitor. 

C’è una nuova umanità in crescita; in questo senso la gentilezza e la sostenibilità sono strategiche. 

Non c’è distonia tra essere performante e competitivo ed essere gentile.  

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